Regione: Basilicata
L’azienda agricola nasce nell’anno 2000 quando in famiglia si discuteva se vendere i bellissimi vigneti di proprietà che circondano l’abitazione dove sono cresciuta.
Le vigne, furono acquisite negli anni ’60 da mio nonno Generoso, acquistando la parte più alta dei poderi situati in Contrada Solagna del Titolo ai piedi del Monte Vulture. Negli anni mio nonno e il mio bisnonno si occuparono di curare le vigne limitandosi a vendere le uve e produrre per autoconsumo. "Sei ettari non si tengono per scherzo" fu la nostra prima impressione, eravamo ormai decisi a vendere poiché i miei genitori sono entrambi insegnanti e sia io che i miei fratelli vedevamo il nostro futuro lontano da Barile per continuare gli studi universitari. Acquirenti interessati che bussarono alla nostra porta non mancarono, ma proprio all’ultimo mi prese un colpo al cuore. Non potevo sopportare che qualcuno mi portasse via i vigneti da sotto lo sguardo (la nostra casa è al centro dei vigneti) e che un altro nome potesse far qualcosa di grande con i vigneti più vecchi del Vulture (la maggior parte hanno tra i 55 e i 60 anni, una parte addirittura circa 70 anni). Così decisi di cambiare i i programmi di tutta la mia vita e di quella della mia famiglia; decidemmo di investire sul territorio e sulla risorsa che aveva permesso a mio padre e ancor prima ai miei nonni e bisnonni di vivere e di crescere nel Vulture.
VignetiPotrebbe sembrare una di quelle storie scritte dai romanzieri, ma quando confidai ai miei genitori di questa idea e l’intenzione di studiare enologia all’università furono subito contentissimi e disponibilissimi. Particolarmente mio padre sembrava covare questo sogno già da tempo, lo trovai preparatissimo sulle facoltà di agraria e su tutto quello che serviva per avviare questa impresa.
La cantina prese vita con la vendemmia 2000, parallelamente ai miei studi universitari presso la facoltà di viticoltura ed enologia, inizialmente affiancati da un professionista esterno e dal 2004 seguita totalmente in prima persona. La scelta fin dall’inizio, senza nessun rimpianto, fu quella di puntare tutto su un'unica etichetta; il “TITOLO” immaginandolo fin da subito come un vino da serie A, (quelli che i francesi chiamano crù). Un unico vino per motivi oggettivi legati alle rese dei vigneti e la qualità data dalla maturità delle piante; un unico vino per rappresentare al meglio la specificità dell’Aglianico e la territorialità del Vulture, che offre a questo vitigno un espressione unica; un mix di microclima e di terroir che in Contrada Solagna del Titolo regala una delle migliori espressioni possibili.
Uno dei più grandi complimenti che è stato rivolto al TITOLO è la riconoscibilità tra gli altri vini; riconoscibilità che è proprio fondata sulla rappresentatività del territorio da cui nasce. Chi viene a visitare la cantina e l’azienda, viene a visitare vigneti del Sud Italia, in una zona interna e di montagna posti a 600 metri di altezza; visita un terreno di tipo vulcanico (passeggiando tra i filari è sempre ben visibile a poche centinaia di metri il Monte Vulture, l’antico vulcano spento che ha dato origine ai costoni lavici dove sorgono le mie vigne, la mia casa e l’abitato di Barile); un terreno fortemente minerale, dal colore scuro e pozzolanico, su cui si può chiaramente leggere la storia e la vita del vulcano; le fasi eruttive composte da colate laviche, di lapilli o di ceneri, intervallati da fasi di stasi composte da strati di argilla. Tutto questo si ritrova nel bicchiere quando si assapora i profumi e il gusto del vino.
UvaLa mia interpretazione del territorio viene definita dagli addetti del settore, “moderna ma non modernista”, moderna per aver saputo comprendere le reali necessità del vitigno in termini di maturazione e di affinamento, ma sempre senza stravolgere quello le caratteristiche del frutto che il vigneto regala in questo angolino d’ITALIA meraviglioso. Senza dimenticare la storia della mia famiglia, gli insegnamenti dei nonni che questo mestiere, questa arte ce l’hanno nel sangue; specialmente nonno Generoso che nonostante gli 86 anni segue personalmente e quotidianamente i vigneti. Ogni anno, ad ogni vendemmia è una lotta, non fai in tempo ha portato l’uva in cantina che nonno Roso sarebbe pronto per potare le piante, preoccupato di lasciare tutto in ordine nel caso dovesse trovarsi a “partire” anzitempo.
Siamo partiti coscienti di poter fare un ottimo lavoro, ma senza grandi pretese considerato il grande patrimonio vitivinicolo italiano, ma siamo comunque riusciti a ritagliarci la nostra visibilità; visibilità e soddisfazione che va al di là dei riconoscimenti ottenuti dalle guide nazionali e internazionali ma nella dimostrazione che passato e futuro viaggiando insieme possono fare di un’azienda piccola come la nostra una grande azienda conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo, e attraverso l’immagine del nostro territorio far conoscere a tutti la nostra regione.
Il lavoro che svolgiamo in vigna, come dico sempre a mio nonno, non è viticoltura ma una e vera e propria opera di giardinaggio tant’è la cura che viene dedicata alle nostre viti. Rispetto della natura e dei suoi cicli; nessun impiego di prodotti chimici, anche per legare le viti viene utilizzata la ginestra che lasciamo essiccare durante l’estate. Il lavoro in vigna è fondamentale (vinifichiamo soltanto le nostre uve) e quando l’uva arriva in cantina per iniziare la vinificazione, ho quasi il terrore di poterla soltanto rovinare. Fortunatamente il risultato finale appaga tutti gli sforzi fatti in vigna e in cantina senza lasciare scontenti.
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